Le Caravelle: un progetto per la valorizzazione del personale dei centri per l'impiego

Paolo Francalancia*

Tornare a parlare del progetto “Le Caravelle” a distanza di alcuni anni rappresenta un’occasione per fare il punto su un’esperienza che deve essere opportunamente inquadrata in un contesto più ampio.

Credo sia utile ripercorrere brevemente quale fosse l’ambiente in cui si concretizzò questo progetto.

Eravamo nel pieno della fase di definizione degli aspetti più critici dell’attuazione del decentramento, caratterizzati dall’individuazione del personale che era destinato a transitare presso le Regioni e gli enti locali.

Nel complesso, eravamo in una situazione che descriverei come quella di cambiare le ruote di un’automobile in corsa.

Certo, qualcuno potrà obiettare che quell’automobile non aveva certo l’abitudine di correre ad una velocità particolarmente elevata, ma negli stessi giorni eravamo occupati nell’attuare il decentramento, nel realizzare il Sistema informativo del lavoro, nel definire e attuare il primo Piano nazionale per l’occupazione, nel realizzare gli obiettivi fissati nel 1997 al vertice di Lussemburgo riguardanti l’offerta ai disoccupati e giovani in cerca di prima occupazione di occasioni di lavoro e di formazione previo svolgimento di un colloquio di orientamento.

Tutto questo avveniva all’interno di una struttura organizzativa caratterizzata da anni di abbandono e di sbandamento istituzionale, con risorse umane poco motivate e, specie in periferia, del tutto ignare dei cambiamenti in corso di realizzazione.

Anche per questa ragione, cercammo di informarli realizzando con il Ministro Treu un road show per le sedi periferiche, che ci consentì di comprendere l’effettivo stato dell’amministrazione, i bisogni e le aspettative di quanti operavano lontani dal Centro.

Ritengo che nei mesi che vanno dal settembre del 1996 al novembre del 1998 si riuscì a compiere un mezzo miracolo organizzativo: fummo in grado di radicare alcuni germogli (altri li definirebbero dei virus…) che hanno caratterizzato e caratterizzano l’attuale sistema dei servizi per l’impiego.

Mi riferisco alle riforme introdotte con il cosiddetto Pacchetto Treu, un provvedimento che ha rappresentato un punto di svolta fondamentale nella recente storia del Paese.

Molti ricordano il Pacchetto Treu per aver dato la spallata definitiva al monopolio del collocamento pubblico ed aver consentito ai soggetti privati (in primis le agenzie di lavoro interinale) di operare nel mercato del lavoro.

Ma altre iniziative furono avviate per riformare il mercato del lavoro e il ruolo dei soggetti pubblici che vi operano.

Penso al SIL il cui modello ha ispirato la più gran parte dei sistemi di raccolta di informazioni per la selezione delle domanda e delle offerta di lavoro sulla Rete.

Penso ai colloqui di informazione e di orientamento, una sorta di cavallo di battaglia del Piano per l’occupazione del 1998, che tra lo scetticismo generalizzato, vennero avviati nella tarda primavera di quell’anno, ancor prima che il Piano fosse ufficialmente presentato a Bruxelles.

Proprio da questa ultima esperienza nacque, almeno in parte, la consapevolezza che fosse necessario operare un intervento formativo che consentisse al tempo stesso di elevare e omogeneizzare le competenze degli addetti ai servizi per l’impiego.

Le norme che regolavano il decentramento affidavano al Ministero un ruolo di coordinamento e di supervisione non solo sul processo di delega ma anche sull’erogazione dei servizi e l’attuazione delle politiche che, come tale non poteva essere lasciato alla libera interpretazione di ciascuna delle Regioni destinatarie, con il rischio di vedere la nascita di 20 sistemi di regolazione del mercato del lavoro diversi tra loro.

In particolare, appariva evidente che il personale degli uffici di collocamento (o meglio delle sezioni circoscrizionali) per essere in grado di svolgere non era, nella più gran parte dei casi, in grado di svolgere quelle nuove attività che l’Europa richiedeva al nostro servizio pubblico: informare, orientare, affiancare, consigliare i lavoratori invece di timbrare, accettare e archiviare documentazione.

Ecco perché diventava importante definire un percorso di formazione che accompagnasse il passaggio del personale e delle funzioni, un percorso che fosse caratterizzato da alcune pietre miliari di riferimento in grado di orientare, negli sviluppi successivi, quanti avrebbero avuto la responsabilità della conduzione dei servizi per l’impiego decentrati.

Il progetto venne ideato e sviluppato da due funzionari del Ministero - Felice Paolo Arcuri[1] e Fabrizio Giorgilli[2] - a riprova che all’interno dell’amministrazione era possibile individuare le risorse giuste per il perseguimento di obiettivi ambiziosi.

Il progetto voleva rappresentare innanzitutto un’occasione diriflessione dell’Amministrazione su sé stessa, al fine di rivedere in chiave critica i comportamenti del passato - con riferimento in particolare alla cultura dell’adempimento burocratico e all’autoreferenzialità - in funzione di un traghettamento verso nuovi scenari operativi. Il percorso immaginato spostava, allora, anche sulla base delle esperienze condotte negli ultimi anni da alcuni uffici periferici, il punto di equilibrio sui comportamenti, centrando l’attenzione dunque nonsul cosa si sa ma sul come si valorizza il sapere. I principi operativi generali erano riconducibili alla valorizzazione delle risorse interne edelle differenze locali, ma anche allo sviluppo di saperi comuni, con una forte attenzione per le funzioni sistemiche di governo e di coordinamento del processo, in modo da garantire lo scambio di esperienze ed opinioni tra operatori di diverse realtà territoriali, presidiare i processi di apprendimento individuale ed organizzativo, gestire i flussi informativi generali.

L’intervento, che prevedeva una durata di tre anni (1998-2000), è stato strutturato in 7 fasi, relative a: azioni di sensibilizzazione, informazioni tecnico-professionali di base, ricerca sul campo, attività a sostegno del cambiamento culturale e comportamentale, orientamento specialistico, attività di formazione specialistica, monitoraggio e valutazione dell’intervento. Anche dal punto di vista delle metodologie la proposta fu fortemente innovativa: la ricerca diventava parte integrante del programma formativo, come contenuto di discussione, esercitazione,riflessione e benchmarking; i momenti d’aula si alternavano con incontri outdoor e formazione a distanza; l’iniziativa, dopo una parte comune, si diramava in una serie di percorsi professionalizzanti che offrivano la possibilità di costruire itinerari diversificati.

La scelta del nome non fu casuale: pensammo che l’immagine delle caravelle rappresentasse con efficacia (e con un briciolo di ambizione) l’obiettivo di transitare dal vecchio al nuovo mo(n)do di intendere il servizio pubblico rivolto a quanti ricercano informazioni, consigli e orientamento per il lavoro e la formazione.

Le Caravelle da progetto del Ministero del lavoro divennero ben presto un progetto del Dipartimento della funzione pubblica[3].

L’intervento da realizzare coinvolgeva un insieme molto articolato di attori sul territorio nazionale per cui era necessario un ruolo di regia, di coordinamento delle attività necessarie per selezionare i soggetti chiamati a fornire gli interventi consulenziali e di formazione del personale.

Questo ruolo, forse, doveva e poteva essere realizzato direttamente dal Ministero del lavoro, ma dopo la caduta del Governo Prodi questo ministero perse la spinta innovativa che il ministro Treu era riuscito ad innescare.

Forse non molti lo ricordano, ma per tutto il 1999 il processo di decentramento dei servizi per l’impiego fu, nei fatti, bloccato dall’incapacità dei vertici politici e amministrativi dell’epoca di completare un processo che trovava il suo fondamento nelle leggi e non certo nei desiderata della precedente gestione.

Non è, forse, un caso, che quel gruppo di funzionari e dirigenti si sia disciolto all’indomani della definizione del progetto stesso e che tutti i suoi componenti abbiano lasciato, con motivazioni differenti, il Ministero del lavoro.


Note

* Paolo Francalancia ha ricoperto l’incarico di Direttore generale degli affari generali e del personale presso il Ministero del lavoro dal 1996 al 1998. Attualmente è componente del consiglio di amministrazione del CEFA - Comitato europeo per la formazione in agricoltura, un’onlus che opera in Albania, Argentina, Bosnia, Eritrea, Guatemala,Kenia,Marocco,Somalia, Tanzania realizzando progetti di sviluppo auto sostenibile nel campo agricolo, zootecnico e alimentare. Oltre alla attività formativa, il CEFA realizza infrastrutture come acquedotti e centrali elettriche, funzionali alla realizzazione dei progetti di autosviluppo.

1. Felice Paolo Arcuri era all’epoca in posizione di comando presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. Oggi è socio di S3.Studium e direttore di ricerca di S3 Opus. 2. Fabrizio Giorgilli era all’epoca in servizio presso

l’Ufficio Regionale del Lavoro di Campobasso. Attualmente è dirigente dell’Inps di Campobasso.

3. Il coordinamento fu assunto dall’allora Capo della funzione pubblica Ubaldo Poti, e il gruppo di lavoro originario fu integrato da dirigenti e funzionari della funzione pubblica (Laura Menicucci, Piero Naddeo), da rappresentanti della Conferenza Stato-regioni e da alcuni consulenti (Basilio Buffoni, Rossana Rossetti).

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